Dal codice al compost: perché ogni sviluppatore dovrebbe avere un hobby manuale
Qualche tempo fa, se mi avessero detto che avrei passato i miei pomeriggi a potare piante, travasare terra e osservare con attenzione la crescita di un basilico, probabilmente avrei sorriso con scetticismo. Non perché non mi piacciano le piante, ma perché non riuscivo a immaginarmi lontano da una tastiera per più di qualche ora.
Non so esattamente quando è successo, ma a un certo punto ho sentito il bisogno di rallentare. Non rallentare nel senso di fare meno, ma di fare diversamente. Dopo quasi dieci anni nel mondo dell’informatica, tra backend, frontend, bug improvvisi e sprint che sembrano non finire mai, ho iniziato a sentire una stanchezza diversa. Non quella che si risolve con un caffè in più o con un weekend lungo. Era una stanchezza più sottile, che si infilava tra le righe di codice e rendeva tutto un po’ più pesante. Non era burnout, ma qualcosa ci si avvicinava.
E fu così che ho iniziato la mia carriera personale nel mondo del giardinaggio.
Il giardino come IDE alternativo
All’inizio è stato quasi per caso. Un piccolo vaso di peperoncini sul balcone, poi un altro con del basilico. Poi ho iniziato a leggere, a sperimentare, a sbagliare. E ho scoperto che il giardinaggio è molto più di un passatempo: è un esercizio di pazienza, osservazione e cura. Esattamente come scrivere buon codice.
Quando potiamo una pianta, togliamo il superfluo per farla crescere meglio. Quando facciamo refactoring, facciamo lo stesso con il nostro codice. Quando una pianta non cresce, dobbiamo capire perché: troppa acqua? Troppa poca luce? È debugging, solo con le mani sporche. Vedere una pianta crescere grazie alle tue cure è come vedere un feature andare in produzione senza errori. Solo che qui non c’è un log da consultare: devi imparare a leggere le foglie.
Il giardinaggio mi ha insegnato una cosa che nel mondo dello sviluppo spesso dimentichiamo: non tutto si può controllare. Puoi dare acqua, luce, nutrimento… ma poi devi aspettare e osservare. Accettare che qualcosa possa andare storto. È un esercizio di pazienza, di ascolto, di fiducia nei processi. E se ci pensi, è esattamente quello che facciamo quando scriviamo software: seminiamo idee, le nutriamo con righe di codice, le potiamo con il refactoring, e poi aspettiamo che crescano. A volte funzionano, a volte no. Ma ogni errore è un’occasione per capire meglio il sistema.
Il potere terapeutico della terra
C’è anche un altro aspetto che ho imparato: il valore del fare con le mani. Nel nostro lavoro, tutto è virtuale. Scriviamo codice che gira su server che non vedremo mai, per utenti che non conosceremo mai. È tutto molto astratto. Il giardinaggio, invece, è concreto. Se sbagli, la pianta muore. Se fai bene, cresce. Non ci sono log da consultare, né stack trace da analizzare. Solo segnali silenziosi, da interpretare con attenzione. E questa concretezza, paradossalmente, mi ha aiutato a essere più lucido anche nel lavoro. Quando sei abituato a lavorare con qualcosa che cresce lentamente, impari a gestire meglio anche l’incertezza del codice. Ti accorgi che non tutto deve essere ottimizzato subito, che a volte serve solo tempo. E che anche nel software, come nella terra, le cose migliori arrivano quando smetti di forzarle.
Oggi, quando mi blocco su un problema, spesso esco sul balcone. Controllo se il basilico ha bisogno d’acqua, tolgo qualche foglia secca, respiro. E quasi sempre, quando torno alla scrivania, la soluzione arriva da sola. Forse non è magia. Forse è solo che, ogni tanto, abbiamo bisogno di sporcarci le mani per pulirci la mente. Quello che ho scoperto è che questa sensazione di benessere non è solo una mia impressione. Esiste una disciplina chiamata ortoterapia, che studia proprio i benefici psicofisici del contatto con la terra e le piante. Secondo diverse ricerche, maneggiare il terreno, prendersi cura di una pianta, osservare i suoi cicli naturali, ha effetti positivi sul sistema nervoso, riduce lo stress e migliora la concentrazione.
Conclusione
Non ho smesso di scrivere codice, anzi. Ma ora lo faccio con una consapevolezza diversa. So quando è il momento di fermarmi, prendere una boccata d'aria e svuotare la mente. Non sto dicendo che tutti debbano diventare giardinieri. Ma credo che ogni sviluppatore dovrebbe avere un hobby manuale. Qualcosa che lo riporti nel mondo fisico, dove il tempo ha un altro ritmo e gli errori hanno un altro peso. Può essere falegnameria, cucina, pittura, modellismo. Qualcosa che ti faccia usare le mani, non solo la testa. Qualcosa che ti insegni a rallentare, ad accettare l’imperfezione, a trovare soddisfazione in piccoli gesti ripetuti. Alla fine, non è solo una questione di equilibrio. È una questione di prospettiva. E a volte, per vedere meglio il codice, basta guardare una pianta che cresce.
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